Storia della Parrocchia

LA STORIA DELLA CHIESA PARROCCHIALE DI SAN PELLEGRINO

Haere et Labore abitantium, “dalle offerte e dalla fatica degli abitanti”. E’ questo il significato della scritta latina che è riportata sulla facciata della chiesa di San Pellegrino, una frase che manifesta al contempo lo sforzo dei cittadini per costruire il proprio luogo di culto, ma anche il desiderio di fede che li ha portati ad erigere un tempio degno per glorificare il Signore.

La chiesa, così come ci si presenta oggi, è frutto dei secoli e della storia che ha attraversato, un tempo lunghissimo, durante il quale ha avuto sempre un ruolo di centralità e di punto di riferimento per la vita del paese; è un patrimonio che i sanpellegrinesi si tramandano da innumerevoli generazioni, un tesoro di cui vale la pena conoscere la storia architettonica e artistica.

SAN PELLEGRINO V. e M.

Le prime notizie su San Pellegrino Vescovo e Martire, primo Vescovo di Auxerre, patrono e protettore della Parrocchia di San Pellegrino Terme risalgono all’anno 258 d.C.; sul trono di Roma sedeva l’imperatore Valeriano, impegnato in una furiosa lotta contro la religione cristiana. Fu in quel periodo che papa Sisto II decise di mandare nei territori della Gallia un missionario che con le sue predicazioni fosse capace di ravvivare il lume della fede. La scelta del pontefice cadde su un grande e celebre servitore di Dio, chiamato Pellegrino, che, dopo essere stato consacrato Vescovo, partì insieme ad alcuni compagni per questa importante missione.
Pellegrino e i suoi compagni, dopo un lungo viaggio, arrivarono ad Auxerre, bellissima città del nord-est della Francia, e lì si fermarono, iniziando a predicare il Vangelo. Per 37 anni il Vescovo continuò la sua missione apostolica, convertendo molti pagani al cristianesimo e riuscendo persino a costruire una Chiesa dedicata a Gesù Cristo.
La notizia della morte di Pellegrino risale circa all’anno 304 d.C. Pare che il Vescovo si fosse recato alla borgata di Entrains e presso il tempio dedicato a Giove avesse iniziato a predicare il Vangelo, quando venne arrestato e imprigionato nell’attesa che giungesse l’imperatore Massimiano per dare inizio ad un processo.
Dopo indicibili e cruente torture, Pellegrino venne condannato a morte per decapitazione. Era il 16 Maggio dell’anno 304. Sembra che il Vescovo avesse 75 anni. Si racconta che i fedeli cristiani, dopo l’esecuzione, recuperarono il corpo del Martire e lo seppellirono a Bouy e sopra il luogo della sepoltura costruirono una chiesa. In seguito la salma venne recuperata e trasportata a Parigi e le spoglie furono distribuite in diverse altre chiese come reliquie. Nel 796, papa Leone III ottenne da Carlo Magno una di queste reliquie; fu così che il culto si San Pellegrino inziò a diffondersi prima a Roma e poi nel resto d’Italia.

ORIGINE DELLA PARROCCHIA E IPOTETICA FONDAZIONE PER MANO DI CARLO MAGNO

La prima testimonianza certa che si ha della chiesa di San Pellegrino risale, con la dovuta approssimazione, all’anno 1260. Si tratta di un elenco delle chiese soggette al censo di Roma, fra le quali compare la parrocchia di San Pellegrino, come confermato anche da un’antica pianta topografica conservata in Vaticano, la quale riporta la chiesa di San Pellegrino e la colloca con precisione in Valle Brembana.
Chiedersi se ci fosse qualcosa e, nel caso, di cosa si trattasse, prima di questa data è una domanda più che legittima, ma la risposta non è certo semplice. Significativa in questo senso è la testimonianza contenuta nelle Memorie storiche della chiesa di Endenna , raccolte da Giuseppe Bonesi nel 1794. Bonesi sostiene infatti che in occasione dei lavori di ampliamento e costruzione della nuova chiesa settecentesca, si scoprì, probabilmente sotto la pavimentazione dell’antica chiesa del 1400, l’esistenza delle fondamenta di una chiesa piccola, ma stabile e robusta.
Le fondamenta di questa chiesa appartengono probabilmente a quella che compare nell’elenco del 1260 e ciò farebbe supporre che questa esistesse già intorno all’anno 1000, se non addirittura precedentemente. L’ipotesi, assai azzardata, proposta dal Bonesi è quella che farebbe risalire la prima chiesa di San Pellegrino nientemeno che alla venuta di Carlo Magno in Italia, ovvero all’anno 776 e seguenti. Il re dei franchi infatti interviene in Italia poiché chiamato dal papa per proteggere i territori pontifici dalle mire espansionistiche dei Longobardi, che in questi secoli occupano l’intera area centro-settentrionale della nostra penisola. Carlo Magno sconfigge i Longobardi e conquista Pavia, capitale del loro regno e con essa tutti i territori occupati da questa popolazione. Per questa ragione viene incoronato dal papa stesso Imperatore di quello che da lì in poi sarà chiamato Sacro Romano Impero.
Pur non esistendo né testimonianza, né documento alcuno che provino il passaggio di Carlo Magno da Bergamo o attraverso i territori circostanti, questa storia, apparentemente lontana dal nostro paese, avrebbe fatto supporre al Bonesi che uno dei vescovi che componevano la corte di Carlo Magno sarebbe giunto nelle nostre valli con lo scopo di fondare nuove parrocchie e diffondere dovunque il messaggio cristiano. Con questo intento sarebbe stata donata, alla esigua popolazione che all’epoca occupava queste rive del fiume Brembo, una reliquia di Pellegrino vescovo di Auxerre, santo e martire francese. Per onorare e venerare questa preziosa reliquia, la comunità avrebbe eretto un primo luogo di culto dedicato al santo, che in seguito diede il nome all’intero paese.

DIPENDENZA E INDIPENDENZA DA ALMENNO

Come dicevamo, il primo documento in cui viene citata la chiesa di San Pellegrino è l’elenco vaticano del 1260. La parrocchia di San Pellegrino compare in questo elenco come chiesa dipendente dalla parrocchia di Almenno. Le ragioni di questa dipendenza sono antiche e questo rapporto si protrae fino al 1500 inoltrato.
Il villaggio di Almenno esisteva già ai tempi dei romani ed era noto con il nome di Lemen. Questo villaggio sopravvisse in età longobarda e giunse nell’età del dominio dei franchi, i quali stabilivano le cosiddette pievi, ovvero le maggiori parrocchie del contado, laddove vi erano i più antichi villaggi romani. Nella Valle Brembana una delle
prime pievi, insieme a quella di Almenno, fu quella di Dossena. Ma le parrocchie da cui dipendevano tutte le altre erano quelle di Almenno ed Almè: dalla prima dipendevano tutte le chiese che sorgevano sulla sponda destra del Brembo, dalla seconda quelle sulla sponda sinistra. Per questa ragione la parrocchia di San Pellegrino doveva andare direttamente ad Almenno per ricevere gli oli santi e pagava a questa parrocchia un censo di due lirette di cera all’anno. Nel 1493 una piena del fiume Brembo causò il crollo del ponte di Almenno e le comunicazioni con quella parrocchia divennero impossibili. San Pellegrino cominciò così a rendersi indipendente senza che nessun atto ufficiale ne desse l’autorizzazione e dai primi decenni del 1500 poté considerarsi a tutti gli effetti una parrocchia a sé stante.

LA CHIESA QUATTROCENTESCA

Padre Donato Calvi, che fu un importante storico del 1600 indicò che la seconda chiesa venne consacrata il 17 Maggio senza specificarne l’anno. Si può supporre che avvenne per mano del vescovo Polidoro Foscari nel 1447. Si fa ricorrere la consacrazione in quell’anno perché lo stesso vescovo consacrò svariate chiese della valle, tra cui quella di San Giovanni Bianco, Pianca, Cornalita, San Gallo, Camerata… La peste del seicento cancellò ogni documento che possa testimoniare tale consacrazione, ma la storia delle chiese circostanti offre un’ipotesi più che valida per la sua datazione.
Sebbene non sappiamo con precisione in quale data la fabbrica fu iniziata, possiamo collocarne l’inizio intorno agli anni trenta del millequattrocento. Se pensiamo alle tecniche costruttive del tempo, ai trasporti e alla condizioni climatiche subite dalla valle, capiamo che 10 anni di cantiere non sono un’esagerazione per la costruzione di una chiesa. Soprattutto se per costruirla vengono impiegate tecniche sconosciute alla gente comune per rendere l’edificio conforme alle line stilistiche in voga al tempo. In cantiere si lavorava pressoché otto mesi all’anno perché nei restanti il freddo non permetteva di lavorare e ogni giornata di maltempo contrastava la possibilità di trasportare il materiale.
Un altro aspetto da considerare è il denaro, secondo la mentalità del tempo la prosecuzione di un’opera veniva portata avanti ogni qualvolta che il capitale posseduto riusciva a coprire le spese. Proprio per questo le interruzioni erano frequenti, anche perché il popolo brembano non era nella condizione di possedere grandi capitali.
La chiesa terminata nel 1447, al momento della sua consacrazione era ancora fornita solo degli arredi estremamente necessari, infatti ancora nel 1455 e nel 1456 il comune di San Pellegrino deliberò che buona parte del denaro ricavato dalle multe venisse impiegato negli arredi della nuova chiesa Parrocchiale.
Dopo la fatica degli inizi, l’antico luogo sacro, vide un continuo
arricchimento del suo patrimonio tra la metà del millecinquecento e per tutto il milleseicento, tanto che molte opere verranno reimpiegate nella chiesa del settecento.

La struttura della chiesa
Lo sconosciuto progettista volle conformare lo stile della chiesa parrocchiale di San Pellegrino nello stile architettonico usato nell’Italia settentrionale del tempo, che proprio nel medioevo vide una crescita, mai vista prima, di strutture legate al culto. Lo stile è classificato come tardo gotico temperato, che assume delle caratteristiche gotiche temperate proprie dell’Italia con un avvicinamento a quello che sarà lo stile del rinascimento che si trovava ormai alle porte. Viene definito temperato perché differisce molto dal gotico francese molto più snello e slanciato. L’Italia restò legata alle strutture in muratura decorate con affreschi, mentre nella vicina Francia, gli antichi architetti, seppero valorizzare la struttura portante, affidandogli un compito più complesso sostituendo le pareti affrescate con le vetrate. Troviamo degli esempi di gotico temperato nelle basiliche di San Francesco ad Assisi e in quella di Sant’Antonio a Padova, ma lo possiamo riscontrare anche in altre chiese meno importanti come quella di Santomè e del Cornello dei Tasso.

L’esterno dell’antica chiesa

Importantissimo documento lo troviamo nelle prime pagine del quaderno di cantiere dell’attuale parrocchiale che prima di annotare le offerte e le spese, descrisse lo stato di fatto dell’antica chiesa prima di essere inglobata nella nuova.
Costruita con la facciata verso monte e l’abside verso il fiume era completamente opposta all’attuale. Una muratura possente ne costituiva il corpo ed era coperta da un tetto in travi e tavole con un manto di coppi, l’insieme formava una struttura lunga e bassa paragonabile alla chiesa di San Giorgio ad Almenno. A destra della facciata si innalzava la torre campanaria nella quale con molta probabilità erano inserite tre campane. A confermare questa descrizione esiste un ulteriore testimonianza conservata in sacrestia. Si tratta di una pianeta (paramento sacro indossato dal sacerdote nella celebrazione eucaristica), sul retro della quale e ricamato un medaglione che rappresenta San pellegrino e sullo sfondo l’antica chiesa. Venne rappresentata fedelmente perché realizzata nel 1500 proprio per quella chiesa.
Amaglio nel secolo scorso propose, con un disegno, la ricostruzione della facciata dell’antica chiesa basandola su alcuni approfondimenti storici da lui eseguiti. Nel disegno troviamo alcune particolarità nella facciata. Al centro vi era una statua del patrono, quasi sicuramente fu quella che oggi si trova sul timpano della facciata. In alto una finestra circolare che richiama il rosone dell’architettura gotica. La stessa finestra è ancora oggi leggibile
nell’architettura della chiesa antica di Zogno riscoperta sotto gli intonaci dell’attuale, era una finestra propria dell’architettura religiosa del tempo. Nella parte bassa due finestre affiancano la porta. Considerando che l’illuminazione elettrica non esisteva e illuminare un ambiente grande come quello della chiesa necessitava di molte candele e quindi molto denaro, la loro presenza nel disegno è sicuramente conforme alla realtà del tempo. Per farci un’idea di come erano tali finestre dobbiamo rivolgere il pensiero al nostro santuario della Madonna di Caravaggio, anche se settecentesche rispecchiano quelle dell’antica chiesa. Davanti alla facciata nel 1646 fu costruito un portico che copriva sette sepolcri spettanti alla Confraternita del Santissimo Sacramento e alle famiglie facoltose del paese.

L’interno dell’antica chiesa

L’interno della chiesa era suddiviso, come le attuali chiese, dalla parte del presbiterio e da quella della navata.

Il Presbiterio
Il presbiterio era sopraelevato dalla navata mediante due gradini, agli appunti di S. Carlo Borromeo del 1575, sappiamo che la parete di fondo dell’altare maggiore era ornato da una serie di dipinti rappresentanti dei santi e da una grande croce dorata al centro. Secondo il nostro concittadino Giovan Pietro Galizzi questi dipinti sarebbero attribuibili a Giorgio da San Pellegrino, importante pittore del quattrocento che operò anche nella basilica di Santa Maria Maggiore e nella chiesa di San Michele al Pozzo Bianco. Sotto alla grande croce vi era la mensa eucaristica probabilmente in pietra. Monsignor Ruzzini un secolo più tardi nella sua descrizione racconta di un polittico dorato con al centro una statua di San Pellegrino. Da questa descrizione intuiamo con facilità, che la grande croce preesistente venne sostituita lungo il 1600 da un polittico dorato e dipinto. Tale immagine possiamo eguagliarla a quella che attualmente orna l’altare della madonna del rosario nella chiesa parrocchiale di Dossena.

La navata
La navata era lunga circa 25 metri e larga 12. Era pavimentata con quadroni di cotto rustico, sopra tale pavimento erano collocati i banchi in due file. Il soffitto era costituito da travi e tavole. Lungo le pareti interne della chiesa c’erano le finestre, non nella parte alta della navata come nell’attuale chiesa, ma a metà dei muri perimetrali e a quello dell’abside. Tali finestre vennero citate nella visita pastorale del vescovo Emo nel 1615, nella quale l’episcopo decretò che venissero ampliate. Grazie a tale decreto oggi possiamo dire che le finestre dell’antica chiesa erano alte e strette chiuse nella parte superiore con un arco a sesto acuto, tali caratteristiche erano proprie dell’architettura gotica. Intervallavano le finestre sei quadri rappresentati scene della vita di cristo. Il battistero con il fonte in pietra e il coperchio in legno era collocato nel lato sinistro della chiesa subito dentro alla porta principale, tale fonte battesimale venne in parte riutilizzato nella chiesa successiva poi sostituito, con l’attuale, negli anni quaranta del secolo scorso.
Nel pilastro sinistro dell’arco maestro sopra all’altare era fissato il pulpito, quello che ancora oggi è presente sopra la porta laterale di sinistra, sicuramente il balcone aveva una forma più esagonale, adatta per essere contenuta dal lato di un pilastro, modificato poi per l’attuale collocazione. Sempre per la predicazione il centro della chiesa veniva attraversato, nel momento dell’omelia, da una tenda. Questa serviva per la suddivisione dei sessi al fine di evitare distrazioni.
Se vogliamo avere un’idea più concreta possiamo pensare alla chiesa di San Michele al pozzo bianco in città alta a Bergamo.

Gli altari
Padre Donato Calvi nel 1676 descrive l’interno dell’antica parrocchiale attribuendole cinque altari. Oltre all’altare maggiore vi erano quello della Madonna del Rosario, quello del Corpus Domini, quello di San Rocco e quello di S. Antonio Abate.
L’altare della Madonna del Rosario si trovava a sinistra dell’altare maggiore, appoggiato all’arco maestro. Mons. Ruzzini nel 1699, nel descrivere questo altare, parlava già dell’attuale statua vestita della Madonna del Rosario. Insieme ad essa scriveva anche dei quindici misteri che la circondano.
Opposto all’altare della Madonna vi era quello, appartenente alla confraternita, del Corpus Domini, nel quale era presente la tela raffigurante la Deposizione di Nostro Signore. Su questo altare, inoltre, nel 1699 vennero posizionati due busti, dentro i quali erano conservate le reliquie dei Santi Bonifacio, Teodora, Venturina e Felice.
Non siamo certi della posizione degli altri due altari, ma sappiamo con certezza che uno era dedicato a San Rocco e conteneva la tela raffigurante la Madonna del Carmine; l’altro era dedicato a S. Antonio Abate e vi era collocato un quadro che lo rappresentava.
Gli scritti della visita pastorale di San Carlo Borromeo ricordano che precedentemente c’erano otto altari, oltre a quelli già citati, quello dedicato a S. Francesco fuori dalla chiesa, con un quadro che rappresentava il santo. Uno all’interno del cimitero dedicato a S. Marco, fu però eliminato per decreto di Milani nel 1605, e uno dedicato a san Filippo e Giacomo, del quale però non conosciamo la collocazione e l’opera che lo ornava.

Le sacrestie
Ai fianchi dell’altare vi erano due sacrestie. A sinistra quella utilizzata dai cappellani della confraternita del Santissimo
Sacramento, mentre a destra vi era quella spettante al curato della parrocchia (al tempo l’attuale parroco veniva chiamato curato).
Il vescovo Ruzzini nella sua visita pastorale racconta di alcuni dipinti antichi esistenti in quest’ultima sacrestia. Secondo Giovan Pietro Galizzi anche questi dipinti sarebbero attribuibili a Giorgio da San Pellegrino. Accanto alla sacrestia del curato vi era inoltre un’altra stanza spettante alla Confraternita, nella quale i reggenti svolgevano le riunioni direttive della Confraternita e conservavano gli oggetti più preziosi appartenenti ad essa.
Il già citato quaderno di cantiere elenca gli oggetti del culto posseduti dalla confraternita, molti dei quali ancora esistenti, oggi più che allora preziosissimi, infatti vennero fatti realizzare da Francesco Sonzogno, allora abitante del castello della Botta in contrada Vetta, per utilizzarli nelle solennità liturgiche. Vennero elencati sei candelieri, una croce, una pianeta, e due tunicelle di ganzo d’oro. Nella sacrestia particolare del curato erano conservati i paramenti di proprietà della parrocchia tra cui la già citata pianeta in broccato rosso.

LA CHIESA SETTECENTESCA

Il progetto

Sfortunatamente la storia non ci racconta chi si occupò di studiare il progetto per la nuova Chiesa Parrocchiale di San Pellegrino Terme. Gli storici tuttavia non esitano ad attribuire la struttura ad un esponente della famiglia Caniana, riconoscendo nelle linee strutturali interne molte conformità con altre opere ideate da Gian Battista Caniana, architetto bergamasco la cui carriera esplose proprio negli anni della costruzione della nuova Parrocchiale. Seppur non suffragata da alcun documento storico, l’ipotesi sembra trovare conferma proprio nella somiglianza della struttura con la Chiesa della Beata Vergine del monte Carmelo della Parrocchia del Duomo in città alta e la Chiesa Parrocchiale in borgo Santa Caterina in città bassa, a Bergamo.

Inizio dei lavori e interruzione

Nel 1715 il parroco don Battista Gavazzeni benedisse la prima pietra di quella che sarebbe stata poi la nuova chiesa parrocchiale. I lavori vennero affidati alla direzione di Francesco Lucchini da Lugano. Dopo soli due anni l’opera venne interrotta dai deputati Giovan Battista Mascheroni e Bartolomeo Grazioli, eletti il 19 marzo del 1714, a causa della mancanza di denaro. Non esiste una documentazione precisa dei lavori svolti durante questa prima fase; conosciamo però i nomi dei deputati, dei benefattori, del capomastro e una cifra presumibile di spesa, la quale ammontava a duemila scudi, circa il doppio delle offerte che si era riusciti a raccogliere. In questi due anni di lavoro probabilmente venne costruito il nuovo abside con la
sopraelevazione per il presbiterio. Ciò è deducibile da una frase contenuta nell’introduzione del quaderno di cantiere:
“Il campanile era situato a lato della facciata vicino alla porta maestra, ove all’incirca è in presenza la scalinata del coro, mentre più oltre non si estendeva la chiesa antica”.
Questa frase, appuntata nel 1727, anno in cui venne iniziata la stesura del quaderno di cantiere, risulta essere postuma alla prima fase dei lavori. Questo ci permette di pensare che i gradini dell’altare e il resto del coro fossero già stati costruiti.

La riapertura del cantiere

Il 25 aprile del 1727 vennero eletti nella stanza del consiglio i nuovi deputati per la prosecuzione dei lavori. Furono eletti nuovi membri: il parroco benemerito Battista Gavazzeni e i signori Francesco Sonzogno e Bernardino Carnini, i quali così scrivevano nel loro quaderno, iniziato per la prosecuzione dell’opera tanto desiderata.

(…) “Finalmente dopo un si lungo tempo, mosso il zelo di tutti li parrocchiani per l’avanzamento di questa santa opera, e bramasi di ripigliar l’incominciamento lavoriero, hanno alzato gli hocchi verso il Dator di ogni bene, et implorato il suo aiuto per il proseguimento della fabrica, finchè confidiati in Dio Benedetto, che non lascia mai inperfetti li suoi santuari, si sono hora con tutto il fervore, coraggio messi all’impresa sotto la direzione dei suddetti deputati “(…)

Con questa frase diedero inizio ad una nuova fase decisiva per la grande opera che tanto desideravano. Dopo dieci anni di interruzione, tempo nel quale generazioni crescevano senza vedere inaugurata la nuova chiesa, i nuovi deputati diedero una grande svolta che fu capace di concludere l’opera, inaugurandola nel 1739.

Il nuovo cantiere

Dopo dieci anni di abbandono si predispose la rinascita della grande opera tanto sperata e desiderata. Il fermento dell’intera comunità diede vita ad un nuova squadra di lavoro. I parrocchiani, con la forza per affrontare tutte le difficoltà che si potevano presentare, diedero inizio al compimento della nuova chiesa parrocchiale. Una macchina composta da una moltitudine di persone, volontarie e no, specializzate e meno, ma tutte con lo stesso intento, quello di tracciare un traguardo al decennale interesse di un’intera comunità. Immaginare ai nostri giorni il cantiere non è cosa facile, possiamo però rappresentarlo come un nido di formiche, apparentemente disordinato, ma ben coordinato al fine di svolgere una particolare mansione. Un cantiere completamente diverso da quelli moderni, perché assente di sicurezza e di mezzi all’avanguardia, ma con un
valore in più dato dal continuo impiego del buonsenso degli operai e della loro passione, motivata dall’interesse dettato dalla fede del cuore e non solo dalla mente.

Il nuovo direttore dei lavori

Per la prosecuzione dei lavori venne nominato capomastro Alessandro Piazzalonga di Bergamo, il quale aveva con sè degli operai, ai quali i Deputati della fabbrica provvidero all’alloggio. Così troviamo sul Registro Cassa:

(…) “Pagato a Francesco Bonese per l’affitto delle sue case habitate dal capomastro e suoi compagni. “(…)

A lui venne affidato il coordinamento dei lavori, il quale insieme ai suoi manovali condusse l’opera della chiesa e successivamente quella della torre campanaria.

La manovalanza

Non è stato possibile ricostruire il numero di manovali che collaboravano alla prosecuzione dell’opera, perché esso veniva composto in base alle esigenze delle opere stesse. Una frase interessante nel quaderno cantiere così recita:

(…) “Per intendere l’ordine delli manovali si fa sapere, che questo è un offitio assontosi volontariamente in consiglio in forza di ballottatione, tutti li parrocchiani abili a tal esertitio che ogni giorno vengono comandati ordinatamente, a vota sin che è terminata, di noi se né principia un’altra, dimodo che ogniuno viene a fare la parte sua senza confusione, et senza detrimento della fabrica. Se occorre qualche urgenza s’impiegano anche le donne, come sarebbe a portar sabione, sassi, legnami, calzina nova, et altri materiali, avendone contato un giorno siano 300 tra homini e donne.” (…)

Questa decisione consiliare fu approvata dall’Autorità civile di Bergamo, infatti troviamo segnato al 20 maggio 1727:

“Spesi in decretar la balotatione, fatta in Consiglio per lavorare li Parochiani a rota in servitio della fabrica, coll’Ecc.mo Antonio Valmarana Capitanio L. 12,16″.

A questi manovali volontari, a modo di ricompensa, venne data un po’ di cibaria: i registri parlano di pane e grassina, di formaggio e formagello, di formento melgone e farina, di vino e sale comperati e
pagati o alla Caneva comunale o a negozianti di S. Pellegrino, Zogno e S. Giovanni. Può sembrare strano che anche le donne partecipavano al cantiere per il trasporto dei materiali, ma era una normalità. Fino alle grandi opere del XX secolo non esisteva differenziazione: tutti potevano partecipare alla fabbrica al fine di sveltire i lavori. Un appunto racconta che in certe circostanze 300 persone affollavano il cantiere, fatto reso possibile anche dalla completa assenza di prevenzione per la salute dei lavoratori, norme per noi oggi obbligatorie che un tempo erano completamente assenti.

L’avanzamento dei lavori

Grazie al quaderno di cantiere, più volte già citato, nel quale venivano registrate le offerte e le spese fatte per la nuova costruzione, è stato possibile ricostruire l’avanzamento dei lavori. Una ricostruzione basata soprattutto sui materiali pagati, in cui la data di pagamento non sempre coincide con quella d’impiego, quindi non è stato possibile fare una ricostruzione giornaliera. È però indicato con precisione l’ordine delle opere fatte e il suo avanzamento strutturale.

È anche da ricordare che durante i primi lavori, negli anni 1715 e 1716, la fabbrica edificò con molta probabilità il nuovo abside, lasciando invariata la struttura dell’antica chiesa. Tale operazione fu utile al fine di non compromettere l’andamento delle celebrazioni liturgiche, dando un’ulteriore possibilità di interrompere il cantiere per il lungo periodo di dieci anni.

Nelle prime note delle spese troviamo il pagamento per la fornitura di legname. E’ facile pensare che tale materiale venne impiegato per la realizzazione dei ponteggi, un tempo chiamati andature.

Le andatoie vennero edificate dove un tempo sorgeva la facciata della chiesa; tale posizione si intuirà più tardi da una nota citante il pagamento delle giornate di lavoro degli scalpellini, che si occuparono di cavare le pietre servite per la costruzione dell’arco trionfale.

Nei mesi di maggio e giugno, gli operai costruirono i ponteggi e demolirono l’antica facciata, creando lo spazio per l’edificazione dell’arco trionfale (situato tra la navate e il presbiterio). Dai pagamenti si intuisce che l’arco venne iniziato nel mese di luglio, non si trovano però, in questo mese, pagamenti di legname. Probabilmente le centine dell’arco vennero realizzate con il legname già acquistato all’apertura del cantiere. Successivamente alle pietre vennero pagati gesso, melgone, ferro e coppi; tutto materiale fornito dagli artigiani della valle Brembana, tempestivamente prenotato dai deputati della fabbriceria per far fruttare al meglio i mesi estivi, nei quali la fabbrica poteva procedere senza interruzioni causate dal clima.

La costruzione della calotta absidale
Di certo i coppi non servivano per coprire solo l’arco, ma tutta la copertura del presbiterio; infatti, concluso l’arco maestro, la fabbrica provvide immediatamente a concludere il corpo del coro. Procedettero in questo modo per non compromettere il corpo della chiesa, fino a quando non fosse strettamente necessario. Quasi certamente fu anche una scelta statica quella di concludere il coro, al fine di dare un corpo solido al nuovo arco, che poteva essere compromesso durante lo smantellamento del tetto sopra la navata.

Nel quaderno di cantiere troviamo due note chiave per intuire il procedimento della fabbrica:

8 settembre del 1727 pagati a Domenico Scanzi scudi 60, per assi serviti ai ponti della fabbrica. 21 settembre del 1727 pagati a Carlo marengone scudi 47,15 per i teleri della balconate del coro della chiese.

La fabbrica avanzava e con lei anche il ponteggio. A fine estate del 1727 gli operai erano impegnati a realizzare le finestre dell’abside, le quali verranno concluse nel mese di novembre con la posa dei vetri. A questo punto anche tutta la calotta absidale era conclusa e con lei anche il manto di copertura. Ancora una volta l’intero perimetro era chiuso e la chiesa era liturgicamente utilizzabile.
La decorazione dell’abside
“Il 19 novembre del 1727 vengono pagati a Francesco Guarneri stuccatore, scudi 169 per fatture fatte di stucco al coro della nuova chiesa”.
In questa fase vennero decorati, con molta probabilità, il cornicione, i fianchi del presbiterio e parte della copertura. Infatti vedremo che le cornici dell’abside verranno realizzate in un secondo momento, forse perchè non era ancora stato deciso quale simulacro inserire per la venerazione dei fedeli.

La costruzione dei pilastri All’inizio del nuovo anno, dopo alcuni pagamenti per legnami serviti al prolungamento dei ponteggi, troviamo le seguenti note:

Il giorno 24 gennaio 1728 pagati a Bartolomeo Vilbor, scudi 14.00 per sua opera fatta a minar sassi(…) Il giorno 30 aprile pagati a Giovanni Zanchi e compagni tagliapietra, scudi 100,00, per pietre fatte sul comune di Piazzo vicino alla brusada (…) per i piloni della fabbrica della chiesa. Il giorno 14 giugno pagati a Giovanni Zanchi e compagni tagliapietra, scudi 200,00, per pietre squadrate (…) servite per i piloni della fabbrica della chiesa.

In questa fase dei lavori il cantiere procedeva verso la nuova facciata: vennero costruiti i primi pilastri verso nord, prima della porta laterale. Contemporaneamente un’altra squadra dell’impresa costruiva le andatoie del lato a sud. Infatti nel frattempo vennero effettuati alcuni pagamenti per forniture di legname. La collocazione dei primi pilastri costruiti s’ intuisce in una nota secondaria, che specifica la costruzione di quelli verso mezzodì.

Il giorno 14 agosto 1728 pagati Giovanni Zanchi e compagni tagliapietra, scudi 300,00 a conto delle sue giornate per li primi due pilastri della fabbrica verso mezzodì (…).

A fine estate del 1728 i quattro pilastri, della prima metà chiesa dopo il coro, erano terminati. È da specificare che i nuovi pilastri non vennero edificati dal suolo, ma furono prolungati gli esistenti. Ne è la conferma l’attuale tessuto murario dei pilastri portanti, distinto in due parti, quella del XV secolo e quella costruita nel 1728. Grazie anche ad un intervento
effettuato nel 1996, che permise di scoprire dall’intonaco gli antichi pilastri nella parte inferiore lasciando intonacati i prolungamenti effettuati per il sopralzo, si può intuire che non vennero scoperti per tutta la lunghezza, a causa di un divario esagerato tra le due parti. Una volta scoperti, infatti, si ritrovarono due tessuti murari completamente distinti. Fu proprio allora che si intuì con certezza che i pilastri dell’antica chiesa non vennero abbattuti, me semplicemente prolungati. Confermano questo le antiche chiavarde inferiori ancora presenti nella parte esterna, prive di catena nella parte interna. Le chiavarde superiori, invece, sono corredate di catena perché elementi essenziali dell’attuale volta.

La costruzione delle pareti e la volta nella prima campata

Terminata la struttura portante nella prima metà della chiesa, l’impresa procedette a edificare i muri perimetrali e in un secondo momento la volta con la sua copertura. Dal mese di settembre fino all’anno successivo troviamo una serie di note che riguardano la fornitura di toft, pietre, sabbia, legno, mattoni e coppi. Il giorno 12 settembre del 1728 pagati a Bartolomeo Pirola e Giovan. Battista Biffi e Lorenzo Salaroli scudi 75,15,per giornate fatte in cavar toft e pietre (…). Il giorno 27 settembre del 1728 pagati a Battista e Gabriele Oprandi e Gabriele Biffi scudi 28,10, per giornate fatte a cavar pietra (…). Il giorno 23 ottobre del 1728 pagati a Michele Pirola scudi 80,00, per quadrelli duemilla (…). Il giorno 4 ottobre del 1728 pagati a Gio, Grazioli (…) di Frasnadello scudi 609,20 per legne, e quadrelli (…). Il giorno 17 novembre del 1728 pagati a Bartolomeo Pesenti scudi 31,10. Per girnate a cavar sassi (…). Il giorno 23 novembre del 1728 pagati a Giov. Zanchi tagliapietra e compagni scudi 120,00, per due giornate fatte a cavar (…). Il giorno 10 gennaio del 1729 pagati pagati a Gio, Grazioli (…) di Frasnadello scudi 487,13, per coppi, quadrelli (…). Il giorno 14 Gennaio del 1729 pagati a Lorenzo Oprandi scudi 18,00, per due chiodi (…). Il giorno 14 Gennaio del 1729 pagati a Francesco Sonzogno e Alessandro scudi 351,12, per giornate nella fornace (…). Il giorno 14 Gennaio del 1729 pagati a Giulio Scanzi scudi 40,00, per rasgadura di asii (…). Il giorno 24 gennaio del 1729 pagati a Giov. Zanchi tagliapietra e compagni scudi 380,16, per pietre cavate a Piazzo e Zambunino (…). Nell’estate del 1729 i lavori erano giunti al cornicione, infatti a luglio venne annotata la spesa per la fornitura di larice, utilizzato per i telai delle balconate (finestre). Il giorno 27 luglio 1729 pagati a Bartolomeo Carrara di Bordogne scudi 300,00, per assi di larice serviti per li teleri delle balconate della nuova chiesa (…). Più tardi venne pagato il falegname che realizzò le casseforme Il giorno 24 settembre 1729 pagati a Carlo Bonaiti di Piazzalunga per i teleri fatti alle balconate (…).

Al termine del mese di settembre la chiesa era ultimata fino alle porte laterali, ne è testimone una nota: Il 20 settembre del 1729 pagati a Gio, Pietro Noletti per sue giornate impiegate in mettere i vetri alle balconate della chiesa nuova, avanzata in qui sino alle porte laterali (…).

La costruzione delle scale del presbiterio

Non era ancora terminata la volta, quando l’impresa diede il via alla costruzione della scala del presbiterio.

Il giorno 21 luglio del 1729 pagati a Carlo Parolino scudi 117,00, per giornate passate a cavar pietra per la scalinata del coro (…). Il giorno 23 agosto del 1729 pagati a Carlo Parolino scudi 50,00, per sue giornate passate a edificare la scala del coro (…).

Oltre alle scale del coro vennero posate anche quelle delle porte laterali e i contorni in pietra delle stesse.

Il giorno 26 novembre 1729 pagati a Carlo Parolino scudi 400,80 per opere fatte nella scalinata del coro e nelle due porte laterali (…). Il giorno 7 dicembre 1729 pagati a Carlo Parolino scudi 682,00 per opere fatte nella scalinata del coro e nelle due porte laterali (…).

Con la posa delle scale il piano del presbiterio era terminato e il corpo della chiesa si vedeva finito fino alle porte laterali. A questo punto della fabbrica il fedele era costretto ad entrare in chiesa da una delle due porte laterali e una volta varcato l’ingresso il suo sguardo era disorientato dalla presenza di due presbiteri. Sopra di lui si dilungava una copertura, per metà a volta e per l’altra metà in travi ed assi, con la presenza di un arco a sesto acuto nella metà verso il presbiterio. La decorazione del presbiterio e dei due altari

Terminata la costruzione muraria della prima metà della chiesa, procedettero ad eseguire quella decorativa.

Il giorno 14 gennaio del 1730 pagati a Francesco Intagliatore scudi 88,00, per saldo di sue giornate (…).

Nessuna specificazione riconduce a quale parte decorativa fosse stata eseguita, possiamo però dire con certezza che si tratta di una decorazione lignea perché eseguita da un intagliatore. Probabilmente venne realizzata la mensa eucaristica, reimpiegando alcuni arredi già presenti nell’antica chiesa. Anche una nota precedente a quella sopracitata si riferisce all’altare maggiore:

Il giorno 17 novembre del 1729 pagati a Domenico Milesi marengone scudi 13,10, per la bretella d’altare (…).

Nelle note troviamo ancora:

Il giorno 4 marzo del 1730 pagati a Rocco Locatelli fabro scudi 117,14, per due ferri lavorati a foliette da porre nelle muraglie d’avanti li due altari madonna del rosario e s.Antonio (…). Il giorno 30 aprile del 1730 pagati a Rocco Locatelli fabro scudi 48,00, per due bacchette fatte a fiorami con le due zirelle da appendere le corde delle lampade (…). Il giorno 24 maggio 1730 pagati a Pro. Donati indoratore della piazza scudi 32,20, per imbrunitura e indoratura dei due ferri degli due altari vicino al coro.

Queste spese si riferivano all’ordine di due ferri utilizzati per la sospensione delle lampade di fronte agli altari laterali. Nessuna nota ci dà informazioni precise riguardo la costruzione dei due altari minori, però grazie a queste note possiamo sapere con certezza che nel lato sinistro era già formato l’altare di Sant’Antonio Abate e al lato opposto quello della B.V. Maria del Santo Rosario. Nel frattempo il presbiterio veniva ornato con stucchi, nello stile barocco settecentesco, con capitelli compositi, lesene e cornici.

Il 21 maggio del 1730 pagati a Pro Gozzi stuccatore scudi 60,00,per fornitura di quattro capitelli fatti ai fianchi del coro (…).

La costruzione della prima sacrestia

Terminata la prima parte della chiesa l’impresa iniziò la costruzione della sacrestia partendo, all’esterno, dal fianco destro lungo il corpo della chiesa. Iniziando costruendo la sacrestia del curato.

Il giorno 5 aprile del 1730 pagati a Carlo Perolino scudi 200,00, a conto delle sue giornate fatte a cavar pietre (…) delle sacrestie (…).

Il giorno 27 maggio del 1730 pagati a Carlo Parolino tagliapietra scudi 400, a conto delle sue giornate fatte in squadrar pietre nella cava di piazzo per le sacrestie (…). Nel mese di ottobre la sacrestia erano già costruite infatti iniziarono a pavimentarla. Il giorno 17 ottobre pagati a Bartolomeo Grazioli scudi 402,10, per saldo di coppi e quadrelli serviti per la sacrestia. L’anno dopo troviamo una spesa per le porte delle scarestie:
il giorno 9 aprile del 1731 pagati a Gabriele e Giovanbattista fratelli Oprandi scudi 26,10, per giornate passate a lucidare le pietre delle portine delle sacrestie.

La costruzione della casa del curato

Già nel mese di marzo del 1730 vennero creati i solai sopra la volta delle sacrestia, per il quale venne fatto un ordine di legname. Il giorno 3 marzo del 1730 pagati a Domenico Scanzi (…) scudi 140, per rasgatura di assi e travetti. Al termine dell’estate del 1731 la casa si trovava già al tetto e con alcuni rallentamenti dei lavori, al termine dell’anno stesso le stanze della casa del curato venivano soffittate. Troviamo annotato all’inizio dell’anno successivo:

Il giorno 16 febbraio pagati a Carlo Bonaiti Marengone scudi 35,5, per giornate fatte a soffittare le stanze sopra alla sacrestia.
La costruzione della seconda sacrestia e il prolungamento della canonica Mentre alcuni uomini lavoravano per iniziare la canonica, altri procedevano all’edificazione della seconda sacrestia, terminata nel mese marzo del 1732, nel quale il contabile annotò: Il giorno 17 marzo del 1732 pagati a Michele Pirola scudi 120,00, per 800 quadri serviti per solare la sacrestia (…). Il giorno 20 marzo del 1732 pagati a Francesco Anciago invetriaro scudi 18,14, per fattura a cinque invetriate dei balconi delle sacrestie (…). Successivamente troviamo le spese riguardanti la cantina della canonica, situata nel piano interato in corrispondenza della seconda sacrestia.

Il giorno 11 aprile del 1732 pagati a Carlo Perolino scudi 126,00, per scalini, portine, due balconate nella canecca sotterranea alla casa del curato (…).

Il giorno 21 maggio del 1732 pagati a Bartolomeo Pirola scudi 7,10, per sei giornate fatte nella canecca del curato (…). La cantina venne terminata definitivamente nel 1733, lo si può affermare con sicurezza, grazie a un’incisione nella calce nel muro della cantina.
Oltre alla cantina venne terminato anche il proseguimento della casa parrocchiele, con la creazione del suo accesso autonomo. Il giorno 24 giugno del 1732 pagati a Gio Giavazzi tagliapietra di Endenna scudi 60,00, a conto delli scalini della casa del curato (…). Il giorno 10 settembre del 1732 pagati a Gio Giavazzi talliapietra di Endenna scudi 80,00, per saldo de scalini 28 colà fatti per la scala della casa del sign curato (…).

La prosecuzione della decorazione nel coro

Mentre i manovali erano impegnati alla costruzione delle sacrestie e della casa spettante al signor curato, gli stuccatori lavoravano al presbiterio della chiesa, nella pagina con le spese fatte nel 1732 e nelle seguenti troviamo alcune note. Il giorno 29 giugno del 1732 pagati a Pietro Pesenti di Cornalba scudi 10,16, per (…) gesso impiegato nel choro della chiesa (…).

Il giorno 8 luglio del 1732 pagati a Francesco Camozzi scudi 388,16, per il lavoro fatto nel coro della chiesa per ornamento in particolare della stimabile ancona rappresentante San Pellegrino nostro patrono donata dal sign Gian Paolo Sonzogno qui fatta venire a sue spese da Venezia fatta per mano del Longhi pittore famoso stimato da Rizzi e Tiepoletto di gran valore nel quale lavoriero avvi compre anco quello fatto attorno al vreve scolpito a lettere d’oro nel mezzo del primo arco della chiesa (…).

Questa seconda oltre a descrivere il lavoro fatto da Francesco Camozzi nel coro e nell’arco trionfale, racconta l’autore della pala d’altare tuttora presente che, per secoli, venne attribuita ad ignoto.

Gli altari laterali

Nell’estate del 1732 la decorazione del presbiterio era pressoché finita, i decoratori allora procedettero con la decorazione dei due altari laterali.

Il giorno 28 settembre del 1732 pagati a Francesco Camozzi stuccatore scudi 400,00, per opera fatta nella cappelle della B.Vergine del Rosario comprese le due statue di San Domenico e Santa Caterina (…).

Il giorno 1 ottobre 1732 pagati a Pietro Donati indoratore della Piazza scudi 37,10, per indoratura delle cornici dei quindici misteri del rosario dell’altare della Madonna di pittura stimata e antica, mentre sono quelli stessi misteri dell’altare della Madonna della chiesa vecchia (…). Il giorno 12 ottobre del 1732 pagati a Pietro Pesenti di Cornalba scudi 13,10, per 173 kg gesso servito a stuccare li due primi altarilatterali (…). Il giorno novembre del 1732 pagati a Francesco Camozzi stuccatore scudi 431,50, per la bella opera di stucco fatta alla capella del Corpus Domini (…).

La conclusione della canonica e delle sacrestie

Nel 1733, mentre in chiesa si concludevano le decorazioni degli altari già costruiti, nell’edificio adiacente si ultimavano le ultime finiture per rendere utilizzabili gli ambienti. In particolare si terminano i pavimenti, i tetti, i serramenti e si dipingono le pareti.

Il giorno 3 novembre 1732 si pagano a Francesco Villiago invetraro scudi 38,10, per 50 lastre di vetro per le sacrestie.
Il giorno 16 dicembre 1732 pagati a Luigi Sonzogno di Ambria scudi 23,10, per 260 quadri serviti per la casa del signor curato (…).

Il giorno 29 gennaio 1733 pagati a Domenico Scanzi scudi 20,00, per travicelli et assi (…).
Il giorno 9 Maggio del 1733 pagati a Marco Aureloi Bianchi scudi 36,00, per aver pitturato la sala e la camera del sign. Curato (…). Il giorno 10 maggio del 1733 pagati a Antonio Melanino di S.Giov. Bianco scudi 345,00, per valore di quadri serviti per solare le stanze della casa del sign. Curato e la sacrestia della scola (…). Il giorno 2 giugno del 1733 pagati a Francesco Venciani Inveraro scudi 30,50, per fattura delle tre invetriate scola et atrio nelle sacrestie compreso lastre di piombo (…).

La conclusione della chiesa

Al termine del 1733 il complesso parrocchiale si presentava ancora con due absidi, ma quella utilizzata fu quella nuova, probabilmente da questo momento si iniziò ad utilizzare la chiesa verso il nuovo abside. Il parroco si trasferì nella sua nuova abitazione, e le sacrestie iniziavano ad essere utilizzate. È proprio per l’esigenza di abbattere la vecchia casa del parroco, e raggiungere il lato della chiesa che l’impresa iniziò a costruire il corpo delle sacrestie prima di concludere la navata.

Negli anni 1734 e 1735 il registro riporta pochissime note, soprattutto non ci sono pagamenti di pietra per i nuovi pilastri della chiesa, forniture che ritroveremo solo tre anni più tardi. Questa assenza di pagamenti, fa pensare ad una fase di demolizione, che ha visto atterrare le due sacrestie che si trovavano ai fianchi dell’antico coro, e con loro la parte absidale. Le demolizioni all’epoca erano fasi molto lunghe, perché non si avevano attrezzature e tutto il lavoro doveva essere effettuato a mano, con un ulteriore prolungamento dato dal recupero del materiale, infatti il pietrame e tutti i materiali ancora utilizzabili, venivano reimpiegati nella nuova costruzione. Non è però da escludere che le pietre per i pilastri di questa seconda fase furono realizzati insieme a quelle dei precedenti.
Nel 1737 non venne annotata nessuna spesa, di quegli anni però abbiamo gli scritti della visita pastorale di mons. Redetti, i quali così riportano:

(…) “La chiesa di S.Pellegrino essendo in fabrica si ritrova ad essere parte nuova e parte antica. La parte nuova, con speciale delega della Curia, fu dal Vicario di Zogno benedetta nel 1737. Presentemente in essa vi sono tre altari tutti e tre benedetti per essere stati costruiti di nuovo: il Maggiore, Beata Vergine del Rosario e Corpus Domini. Se i lavori per finire la chiesa si prolungano ancora molto, si sitemi il Fonte Battesimale in miglior modo” (…). Da questa nota del Vescovo si vede chiaro che la nuova chiesa assorbiva la vecchia man mano che avanzavano i lavori.

I nuovi pilastri

Come visto per i pilastri della prima parte, alcuni ordini di pietrame, hanno delimitato il periodo della costruzione dei pilastri nella campata verso il presbiterio. Anche per i quattro pilastri verso il presbiterio troviamo alcuni ordini consistenti di pietra. Il giorno 14 agosto del 1738 pagati a Pro Pirola scudi 5,20, per giornate tre a cavar pietra nel suo logo (…).

Il giorno 28 settembre del 1738 pagati a Carlo Perolino piccapreda scudi 450,00, a conto di sue giornate (…).

Il giorno 1 dicembre del 1738 pagati a Carlo Perolino piccapreda scudi 530,00, in saldo delle sue giornate (…). Il giorno 23 marzo 1739 pagati a Carlo Perolini taliapietra scudi 300,00 a conto delle giornate che va facendo a lavorar pietre nella sua vene (…).

 

La costruzione della facciata

La facciata venne costruita con certezza nel 1739, ne è la conferma i medaglione che si trova nel portone, il quale recita: “Porta coeli AD MDCCXXXIX” La storia ci narra che in quegli anni la facciata, come nella maggior parte dei luoghi di culto, venne lasciata allo stato rustico, perché si preferiva terminare l’interno e rendere il luogo utilizzabile, prema di decorare la facciata. Possiamo immaginarla come l’attuale facciata della chiesa di Santo Spirito a Bergamo. Verrà ornata, in un secondo momento, con decorazioni alla finestra e con una nicchia decorata da otto capitelli contenente a una statua del patrono, l’attuale statua che spicca sul timpano.

Il giorno 28 ottobre del 1740 pagati a Franco Guarneri stuccatore scudi 110,00, per fattura di otto capitelli et ornamenti fatti alla nicchia sopra alla porta maggiore della chiesa (…).

Il giorno 12 luglio del 1740 pagati a Franco Guarneri stuccatore scudi 88,00, per aver fatto l’ornamento alla finestra grande della chiesa (…).
La costruzione delle pareti e della volta

La chiesa era terminata nelle sue linee perimetrali quando veniva celebrata la sua consacrazione, non era però terminato il suo profilo. Nel quaderno di cantiere vediamo che i lavori andranno avanti anche negli anni successivi. Nell’anno 1740 venivano costruite le finestre.

Il giorno 19 ottobre 1740 pagati a Carlo Bettoni di San Giovanni Bianco scudi 13,00, per cambre servite per i teleri delle balconate (…).

Il giorno 3 ottobre del 1740 pagati a Giuseppe Ambrosioni scudi 75,00, per valore di legname di lares servitili per far li tileri a cinque balconate della chiesa (…). Il giorno 3 ottobre del 1740 pagati a Pietro Ferrari marengone scudi 25,00, per fattura delli cinque tellari (…). Grazie a questi appunti possiamo intuire che la volta venne realizzata nel 1740, anno dopo l’inaugurazione.

La posa del pavimento

Il primo pavimento venne realizzato con tavole di legno inchiodate. Ne sono la testimonianza una nota del 1736 e una del 1740, la prima si riferisce ad una campata e la seconda l’altra. Il giorno 27 marzo del 1736 pagati a Pietro Ferrari scudi 27,80, per sua fattura in solar parte della chiesa de assi (…).
Il giorno 24 dicembre del 1740 pagati a Pietro Pietrasanta marengone scudi 13,10, per sue opere fatte a quadrar assi per solar la chiesa (…). A questo punto il corpo della chiesa poteva essere considerato terminato, certamente mancavano ancora molte decorazioni, però l’aspetto strutturale progettato era completato.

Prolungamento della canonica

La fabbrica della chiesa dopo aver terminato le varie opere di finitura nella struttura, si dedicò alla costruzione della seconda parte della casa parrocchiale. Iniziarono con la costruzione dell’ossario, che un tempo si trovava al di sotto della casa dove abita il direttore dell’oratorio. Nel quaderno troviamo:

Il giorno 13 Agosto 1743 pagati al sign. Cri Lazoroni di Clanezzo scudi 75,00, per ferro per le due ferrate dell’ossario (…).

Il 16 ottobre 1743 pagati al sig. Michele Pirola scudi 180,00, per quadrelli serviti per il suolo dell’ossario (…). A quest’ossario oggi non è più possibile accedere perché nei secoli, è stata ampliata la casa del predicatore anche nel piano terra, eliminando così la cappella. Sono ancora presenti le sepolture al piano interrato anche se non esistono più passaggi per raggiungerle.

La costruzione del portico

Tra lo stabile delle sacrestie e l’ossario, venne costruito un portico, composto da due volte a croce, sopra al quale venne costruita un’altra parte della casa del parroco.

Il giorno 21 settembre 1743 pagati al signor Michele Pirola scudi 44,10, a conto de quadrelli serviti per l’involto tra una e l’altra casa.

La costruzione della cappella ossario

Durante la costruzione della seconda parte della casa parrocchiale, venne costruita anche una cappella ossario, questa viene citata anche nelle note del campanile perché demolita per la sua costruzione.

Il giorno 24 giugno 1743 pagati a Gio. Gavazzi tagliapreda scudi 66,14, per pietre lavorate servite per la cappella dell’ossario (…).

Venne demolita nel 1753, questa opera viene annotata nel quadrno di cantiere:

il giorno 19 luglio del 1753 pagati scudi 43,17 per aver fatto votare e demolire il casello dei morti, ave si deve piantar il campanile (…).

Visita alla chiesa dopo il termine dei lavori

Dopo il 1739, anno in cui la nuova costruzione venne inaugurata, la chiesa parrocchiale presentava una facciata allo stato grezzo arricchita solo da una nicchia ornata da otto capitelli, all’interno della quale era custodita la statua del patrono. Lo stesso simulacro oggi troneggia la sommità del timpano.

Superato il portone maestro, nessuna struttura lignea divideva la parte interna da quella esterna, per cui un fedele si trovava direttamente nell’aula sacra della chiesa. L’intero corpo era pavimentato con squadroni di cotto colorati, mentre era coperto da una volta priva di decorazioni. Un elaborato cornicione percorreva, come oggi, tutta l’aula della chiesa dividendo il piano inferiore da quello della volta.

Lungo le pareti del piano inferiore erano distribuiti nelle nicchie quattro altari laterali: quello dedicato alla Beata Vergine Maria del Santo Rosario, a sant’Antonio da Padova (al quale era eretta la scuola del Santissimo Sacramento), a Sant’Antonio Abate e a Sant’Anna; nel quale era inserita la tela raffigurante la maternità di Maria. Oggi l’unico altare originale è quello del Rosario edificato durante la fabbrica della nuova chiesa. Gli altri altari vennero riedificati lungo l’ottocento e il novecento prendendo il posto degli antichi altari interamente in stucco simili a quello del Rosario.

Oltre agli altari laterali, il piano inferiore era ornato da lesene con capitelli di ordine composito e dalla presenza di otto matronei.

Sopraelevato dal corpo della chiesa, il presbiterio era chiuso da balaustre probabilmente in legno come lo era la mensa eucaristica.

Il coro presentava già l’attuale struttura lignea mentre il presbiterio era ornato solamente dal banco dei parati di destra. L’organo verrà edificato solo qualche anno più tardi con le due solenni cantorie. Anche la copertura del presbiterio ara rimasta incompleta, priva di qualsiasi decorazioni.

L’unica decorazione realizzata nella parte alta, durante la fabbrica della nuova chiesa, era quella del finestrino sopra al portone principale

IL CAMPANILE

Nel 1845 sul nostro campanile fu collocato un concerto di 5 campane, fuse da Bizzozero di Varese e benedette il 21 giugno dello stesso anno dal Mons. Carlo Gritti Morlacchi Vescovo. Ciascuna delle nostre campane ebbe un nome di battesimo: Pellegrina, Pierina, Vincenza,
Eurosia e Maria. Sempre nello stesso anno venne posto dal Comune un grande orologio, commissionato alla ditta Frassoni di Rovato di Brescia.
Il 21 agosto del 1942 dal Sottosegretariato di Stato per le Fabbricazioni di Guerra arrivava al nostro vicario don Giovanni Belloli la comunicazione della confisca di due campane, secondo il Regio Decreto del ventesimo anno dell’era fascista. Era il 2 aprile del 1943. Per oltre 6 anni il campanile restò con sole 3 campane.
Nel 1949 le due campane che erano state confiscate, furono sostituite da altre 2 dello stesso peso e della stessa intonazione. Le nuove campane furono benedette durante la festa dell’Assunta.
Nel 1955 il nostro campanile ebbe, in sostituzione del vecchio in legno, un nuovo castello in ferro, opera della ditta Pagani di Tagliuno. A sua volta la ditta Ottolini di Bergamo preparò 3 nuove campane da aggiungere alle 5 già presenti, i cui nomi sono: Maria Assunta, in ricordo del dogma dell’Assunta, la cui madrina era la vedova Maria Scanzi; Giuseppa, in quanto la festa dei lavoratori ricorre nel giorno di San Giuseppe, il cui padrino era un impiegato della SASA e Bruna Garcia, in onore di Bruno Granelli, il cui padrino era un operaio della San Pellegrino SPA. Il peso complessivo delle 8 campane è di circa 70 quintali.
Nel 1960 la ditta Filippi Giuseppe di Chiari sostituì il tradizionale movimento a corda con l’impianto elettrico, ponendo il quadro dei comandi in sagrestia.

Le opere del parroco Calvi

Il 23 aprile 1795 fu mandato a San Pellegrino il parroco don Matteo Giacomo Calvi. Dall’elenco cronologico dei parroci sappiamo che al suo zelo è dovuto l’altare maggiore della parrocchiale e da un registro Cassa 1804 troviamo L. 300 pagate al marmorino Antonio Fossati per quella colonna di marmo che gli stava a fianco per il Cero Pasquale.

Altra opera importante sono i portoni della chiesa. Il 25 maggio 1815 Grazioli Giuseppe, come Deputato all’opera, dispone di L. 36 per pagare il disegno delle tre porte della chiesa a Francesco Damiani.

Le opere del Parroco Volpi

In data 10 luglio 1816, il Vescovo di Bergamo affidava la parrocchia a Don Giuseppe Volpi. La lista cronologica dei parroci, conservata nel nostro Archivio, a fianco del nome Volpi segnala il merito di aver portato a termine la sistemazione della parrocchiale e di averne curato la bellezza con la realizzazione di decorazioni in stucco.

Nel 1825 farà realizzare l’attuale altare del sacro cuore con l’inserimento della antica tela della deposizione, il quale verrà modificato successivamente nella parte superiore ridedicandolo al Sacro Cuore di Gesù con l’attuale statua.

Per l’esterno ricordiamo la facciata che nella parte superiore è ancora oggi come l’ha voluta lui, mentre la parte inferiore ha preso la forma attuale nel restauri del 1941.

Le opere del parroco Regazzoni

Nel 1870 il parroco Paolo Regazzoni affida a Pietro Mora di Bergamo il compito di preparare una statua di S.Luigi e ricava in chiesa parrocchiale la nicchia per riporla sopra la porta laterale di fronte al pulpito. Secondo il gusto del tempo l’effige è vestita di veste talare nera confezionata dal sarto Fumagalli detto Scarsòla di Bergamo e di cotta. Tale statua verrà levata durante i restauri del 1952, e ricomposta con un corpo scolpito recuperando la testa e le mani di quella antica.

CAPPELLA DELL’IMMACOLATA

Anche per la cappella della Beata Vergine Immacolata venne redatto un quaderno, questa volta però non si annotarono le offerte e le spese, ma il racconto della storia di questa cappella. Il quaderno dopo aver riportato in grande “ANNO DOMINI 1885 ad perpetuam dei memoriam” così racconta:

Il M.R. Parroco locale Sig. Don Pietro Carminati nativo di Brembilla, vedendo la necessità e l’utilità di aver una chiesina unita alla parrocchiale per raccogliere nei giorni festivi i ragazzi per le istruzioni catechistiche, e per le congregazioni dei giovano d’ambo i sessi, da tempo meditava come potere effettuare il suo pensiero. Esaminò vari progetti da lui stesso fatti e in fine si risolse che tutto considerato il luogo più opportuno al suo intento era di erigere la detta chiesina nello spazio di sacrato tra il campanile e la casa del sacrista, ove così avere la diretta comunicazione colla chiesa parrocchiale. Ben meditato il suo progetto ne ideò egli stesso il disegno.

Era il dicembre del 1883 quando in occasione della novena del Natale si diedero in questa parrocchia le S. Missioni dai Rev. Parrochi (…). Queste sante Missioni riconoscevano a meraviglia e portarono fatti grandissimi in questa popolazione che vi accolse volenterosa e unanime ad esaltare con avidità la propria parola.

Avendo il Sig. Parroco locale manifestato il suo pensiero ai missionari, il rev. Prevosto Teanini che chiuse solennemente la S. Missione lasciò come ultimo ricordo ai giovani di prestarsi volenterosi e con animo all’opera che il loro Rev. Parroco aveva ideato, ciè all’erezione di
detta chiesina. Questa ricordo dato in circostanza si solenne, e in terreno si ben disposto, fu come lievito che diede animo a tutta l’opera (…) Con questo avvenimento si deide il via all’opera tanto desiderata dal parroco. Già nell’ultima domenica di dicembre, il prevosto incontrò i giovani in sacrestia per mostrargli il suo progetto, spiegano a loro i pro e i contro della sua idea, lasciando a loro il compito di risolvere i problemi del progetto.

Nel quaderno più avanti troviamo:

Il giorno 27 febbraio (…) 1884 si posero i fondamenti e sulla fine di maggio si avviò la fabbrica. Da questo giorno in poi la fabbrica avanzò senza interruzioni fino alla metà del 1885, quando il luogo era già in grado si svolgere la sua funzione. Nel 1888 si edificò l’altare, in stile barocco realizzato in stucco, con al centro una statua lignea. Di questo altare è ancora oggi conservato il disegno, questo però non venne rispettato fedelmente, forse per scelte o per mancanza di denaro.

Le opere del parroco Cavallari

Alla fine del 1800, quando era parroco Cavallari, fu eseguito l’ultimo restauro. Il tetto si trovava in condizioni precarie, l’acqua vi penetrava e formava sul soffitto delle macchie di umidità. I lavori poterono cominciare grazie ad un sussidio fornito dall’allora consiglio comunale. L’esecutore fu il pittore milanese Cavallotti che ornò la volta con 3 medaglioni rappresentanti il trionfo di San Pellegrino, il trionfo della Fede e il trionfo della Virtù. Fu inoltre modificato l’altare del Sacro Cuore attraverso la creazione della nicchia per ospitare l’attuale statua.
Opere dei primi del novecento

All’inizio del novecento, quando la prima guerra mondiale era ancora lontana, l’arciprete Viscardi e successivamente il vicario Belloli, si fecero mecenati di svariate opere all’interno della nostra chiesa parrocchiale. Oltre ad occuparsi della prima illuminazione composta da semplici lampade con bocce, oggi scomparse, commissionarono nel 1907 il maestoso portone scolpito da Cesare Zonca. Contemporaneamente verranno fatti realizzare i due confessionali in controfacciata da Rota Giovanni. Un anno più tardi verrà affidato ad Angelo Gherardi il compito di disegnare e realizzare i due altari laterali secondari, mentre lo scultore Zonca scolpirà la nuova statua di Sant’Antonio da Padova, la quale prendeva posto dove ora è custodita la pala della deposizione dal 1952. Successivamente nel 1944 chiesero a Sandro Angelini (figlio di Luigi Angelini), il progetto per un nuovo battistero, dal quale verrà successimene realizzato e
terminato con l’affresco del Battesimo di Gesù dipinto da Angelo Sesti.

Facciata

Conclusi i lavori di costruzione della Parrocchiale, la facciata venne lasciata allo stato grezzo, decorata soltanto da alcuni ornamenti posti lungo il perimetro del finestrone e da una nicchia che conteneva la statua di San Pellegrino.

La facciata restò in queste condizioni fino al 1825, quando don Giuseppe Volpi, allora parroco di San Pellegrino, decise di completarne la costruzione. Non sappiamo a chi fu affidato il compito di realizzare il nuovo progetto, ma è tutt’oggi presente nell’archivio parrocchiale un disegno raffigurante una grandiosa facciata in stile neoclassico con un portico antistante. Strutturata su due piani, la costruzione intervallava statue e colonne che circondavano una grande finestra centellinata a tutto sesto e si concludeva con un maestoso timpano sul quale poggiava una croce. Per mancanza di fondi, di questo progetto venne realizzato solo il piano superiore, mentre quello inferiore venne solo intonacato. Sotto al timpano ligneo, decorato da dentelli, vennero costruite quattro semicolonne in pietra artificiale con capitelli di ordine ionico. A sovrastare la facciata, al posto della croce prevista nel progetto, venne posizionata la statua del patrono che già decorava la vecchia chiesa.
Sulla scia dell’importanza che San Pellegrino Terme andava acquisendo grazie al turismo, nel secolo scorso l’allora vescovo di Bergamo monsignor Adriano Bernareggi inviò all’arciprete Giacomo Viscardi una lettera nella quale si auspicava una riprogettazione della facciata della parrocchiale, ritenuta poco degna per una cittadina così rinomata. Fu il vicario parrocchiale don Belloli a farsi promotore dell’opera, affidandone il progetto all’ingegnere Luigi Angelini, già conosciuto e stimato a San Pellegrino per la progettazione del Tempio dei Caduti. Angelini decise di non costruire una nuova facciata, ma studiò alcune modifiche da apportare al progetto ottocentesco. Lasciata la parte superiore così com’era stata costruita, l’ingegnere non tentò di completare il vecchio disegno, ritenendolo in uno stile superato per il suo tempo, ma fece costruire nella parte inferiore quattro lesene in ceppo di Poltrangno con zoccolo nello stesso materiale e sopra il portone Settecentesco, uno stemma in stucco.

RESTAURI DEL 1952

A metà del secolo scorso, quando era parroco Mons. Dossi, ebbero luogo dei nuovi restauri. Il progetto fu affidato alla mano di Ajolfi, mentre la volta sopra alla navata venne ridipinta dal pittore
Pasquale Arzuffi: venne mantenuto il medaglione con il trionfo di San Pellegrino, mentre gli altri due furono sostituiti da un insieme di santi, tra cui San Pellegrino, che adora l’agnello e nel terzo medaglione venne eseguita l’attuale Assunzione della Madonna.

OPERE DI FINE SECOLO SCORSO

I restauri del 1952 vennero eseguiti in buona parte con dei grossi trabatteli, lo spostamento di tali ponti mobili provocò non pochi danni a quello che era l’antico pavimento in graniglia realizzato lungo l’ottocento. Nel 1964 dopo aver realizzato l’impianto di riscaldamento venne affidato alla ditta Cadei di Bergamo il progetto per un nuovo pavimento in marmo, successivamente realizzato dalla stessa ditta.

Al termine del novecento l’allora parroco don Lino Martinelli farà realizzare il nuovo arredo liturgico del presbiterio che sostituì quello realizzato negli anni 50.

Chiesa Parrocchiale San Pellegrino Vescovo e Martire oggi

 


TRATTO DA:  progetto ” TRA ARTE E FEDE – Associazione pARTEcipando